Molti detersivi vantano la presenza di enzimi che fungendo da catalizzatori dei processi chimici sono grado, alle basse temperature, di aumentarne l’efficacia e la rapidità d’azione. Fra gli enzimi in uso vi sono le lipasi, capaci di aggredire le molecole di grasso senza causare danni al tessuto (la stoffa) da pulire.
Un additivo che funziona
Gli enzimi sono effettivamente in grado di rompere molecole altrimenti difficili o impossibili da rimuovere e il giro d’affari per la produzione delle lipasi è dell’ordine dei 600 milioni di dollari all’anno. Sì tratta addirittura di un mercato in crescita, ma basato su processi chimici dispendiosi, a partire dal costo delle materie prime.
Il terzo olio più usato al mondo
Dai semi della senape si ricava un olio che in occidente è noto per lo più come ausilio nei massaggi o nella terapia ayurvedica, ma è tutt’ora ampiamente utilizzato per scopi alimentari (soprattutto la cottura) in Paesi asiatici quali l’India, il Pakistan e il Bangladesh. Solo l’olio di palma e quello di soia sono prodotti, a livello globale, in quantità superiori.
Dalla spremitura delle olive o dei semi per l’estrazione dell’olio si ottiene come prodotto collaterale un residuo solido che può essere riciclato in vari modi, basti pensare all’olio di sansa ma anche a mangime per gli allevamenti.
Il recupero dei rifiuti agricoli
Questi scarti pressati, definiti pannelli, sono nel caso dei semi di senape un terreno ideale per la crescita microbica e i ricercatori sono riusciti a ottenere in questo modo l’enzima lipasi facendo fermentare gli scarti tramite l’Anoxybacillus sp. ARS-1, un batterio che prospera nelle acque tropicali della sorgente di Taptapani (nell’Orissa, India orientale).
Gli enzimi prodotti in questo modo si rivelano termostabili e in grado di resistere a quasi tutti i detergenti chimici oggi in uso, comprese le marche di detersivo per il bucato più vendute.
Si è quindi dimostrato un additivo ecosostenibile e a basso costo che potrà essere inserito nella formulazione dei detersivi nel prossimo futuro.
La ricerca, pubblicata sul Preparative Biochemistry & Biotechnology, è frutto della collaborazione fra il dottor Pattanathu Rahman, biotecnologo presso il Centre for Enzyme Innovation dell’Università di Portsmouth (Inghilterra) e la squadra di ricercatori del professor Enketeswara Subudhi del Centro per la Biotecnologia dell’Università di Siksha O Anusandhan dell’Orissa (India).
Di Corrado Festa Bianchet
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